Non tutti sanno che bonafficiata era l’equivalente dialettale per “lotto”. Ne discendeva anche il modo di dire “Puozze piglià na bonafficiata!”, spesso usato in senso ampio per augurare una buona sorte. Taluni pensavano che nascesse dall’aggiunta dell’aggettivo buona al sostantivo afficiata, in cui riconoscevano l’equivalente di lotto o di vincita al lotto. Il termine Bonafficiata deriva da Beneficiata indicando le vincitrici di una speciale “lotteria” che si teneva a Napoli per sorteggiare periodicamente delle ragazze povere cui dare una dote in denaro (25 ducati) perchè potessero sposarsi.
A Napoli oggi si trova ancora una strada dedicata alla Bonafficiata: via Bonafficiata vecchia, una traversa di Salita Paradiso. Il gioco del lotto però non è nato a Napoli, infatti si è diffuso nella città, solo nel 1682 mentre si sa che è nato a Genova nel 1539 con le scommesse illegali che il popolo faceva sui 90 nomi dei candidati per le elezioni al Senato che sarebbero usciti dalle urne. Il gioco del lotto è stato sempre ritenuto un gioco pericoloso e immorale e più volte è stato abolito ma con scarsi risultati tant’è che, per superare la crisi finanziaria del XIX secolo, si decise di legalizzarlo per trarne profitto a favore dello Stato.
Nel 1734 il re di Napoli Carlo III di Borbone era deciso ad ufficializzare il gioco del Lotto. In quanto il gioco del lotto se mantenuto in modo clandestino, avrebbe sottratto entrate alle casse dello Stato. A ciò si opponeva il frate domenicano Gregorio Maria Rocco. Non era giusto introdurre un ‘così ingannevole ed amorale diletto’ in un paese in cui si cercava sempre di rispettare gli insegnamenti cattolici. Carlo III facendo presente che il lotto, se giocato di nascosto, sarebbe stato più pericoloso per le povere tasche dei sudditi, riuscì a spuntarla, ad un patto però, che il gioco del lotto, almeno nella settimana delle festività del Natale, sarebbe stato sospeso.
In quei giorni il gioco, insomma, non poteva distrarre il popolo dalle preghiere. Ma il popolo subito pensò di organizzarsi per proprio conto. I novanta numeri del lotto furono messi in ‘panarielli’ di vimini e, per divertirsi in attesa della mezzanotte, ciascuno provvide a disegnare numeri sulle cartelle. Così la fantasia popolare riuscì a trasformare un gioco pubblico in un gioco familiare, che prese il nome di tombola dalla forma cilindrica del numero impresso nel legno e dal capitombolo che fa lo stesso numero nel cadere sul tavolo dal panariello che, una volta, aveva la forma di tombolo.
I simboli della tombola napoletana sono quasi tutti allusivi, alcuni anche piuttosto scurrili.
La parola ‘tombola’, secondo alcuni verrebbe da tombolare (roteare o far capitombolare i numeri nel paniere), secondo altri verrebbe da tumulo (forse per la forma piramidale del paniere).
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